a cura di Andrea Boni
Quando meditiamo per un tempo abbastanza lungo, cominciamo a scivolare naturalmente nella pratica, perché la meditazione è uno stato naturale. È l’incontro diretto e nudo con la nostra consapevolezza che modifica la comprensione di chi siamo, donandoci la forza di restare saldi al centro del nostro essere.
La vera meditazione è restare seduti e dare a noi stessi il consenso di essere. Semplicemente.
Sally Kempton la definisce come una corrente mistica che ci guida dall’interno. Anche le scritture dello yoga parlano di questa energia creativa.
La raccontano e la venerano come la fonte della vita stessa, quella che genera i mondi in cui viviamo ma anche i mondi interiori, l’articolazione del pensiero, la fantasia, il nutrimento dell’arte, il linguaggio della scrittura, i sentimenti o le emozioni.
Narrano che il sostegno di questa energia sia incessante e che il suo potere scorra invisibile all’interno e all’esterno di noi, come un fiume carsico che non smette mai di alimentarci, nonostante le sfide che ci troviamo ad affrontare.
La chiave, secondo i saggi, sta nel riconoscere il suo nutrimento e imparare a utilizzarlo per ritrovare un contatto con la vita.
Quando meditiamo, dunque, impariamo a restare seduti abbastanza a lungo da cogliere quel flusso eterno e a scivolarci dentro con regolarità.

Tuttavia, proprio come in una storia d’amore, si aspetta a conoscere bene il proprio partner prima di giurarsi amore eterno, così anche nella meditazione è essenziale prendere dimestichezza con i diversi aspetti della pratica, per costruire una relazione con essa.
Uno di questi aspetti è la posizione fisica che dovrebbe essere sempre stabile e comoda per far sì che il corpo non provi disagio.
Non ha importanza se decidiamo di sedere a terra o su una sedia. Ciò che conta è stabilire una base solida e accogliente, che ci consenta di tenere le ginocchia un poco più in basso delle creste iliache, favorendo una spina dorsale eretta ma non rigida.
In questo caso, l’uso di un cuscino a sostegno della base è consigliabile, oppure di un paio di coperte ripiegate.
Se invece preferiamo meditare in virasana, come è il caso di molti monaci buddhisti, è possibile sedere sul bordo di un bolster o di un cuscino zafu, che hanno uno spessore maggiore e proteggono le ginocchia da un’eccessiva flessione.
Un grande guru del secolo scorso una volta disse che per meditare non c’è bisogno di una laurea o di un diploma, ma soltanto di un sincero interesse verso il mondo interiore e che quell’interesse debba essere nutrito poco per volta, con costanza.

A questo proposito, mio padre faceva un esempio molto chiaro.
Per tingere un pezzo di stoffa in maniera indelebile, dobbiamo inzupparlo nel colore e poi esporlo al sole. Una volta che il panno sarà asciutto, una buona parte del colore sarà svanita e dovremo immergerlo di nuovo per continuare il processo di tintura. Il colore e l’esposizione al sole, col tempo, permetteranno alla tinta di fissarsi sulla tela per sempre.
Lo stesso avviene anche con la pratica di meditazione. Quando è eseguita con regolarità, costanza e amore, può mettere radici e diventare una consuetudine ineliminabile, un appuntamento cui non possiamo mancare.
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